Il fango del parcheggio, o la polvere, a seconda della stagione.
Le magliette illegali all'ingresso e all'uscita.
I biglietti belli.
Le luci brutte all'ingresso.
L'elettrizzante attesa.
Il boato incredibile di dodicimila scarpe divise equamente tra anfibi e Adidas alte che sbattevano a mo' di marcia sulle sedie blu delle tribune appena venivano spente le luci, e sembrava che stesse venendo giù il mondo.
Ma la costante massima, era sentire Master of Puppets a volume basso uscire dalle casse dell'impianto mentre i tecnici sistemavano le ultime cose.
E il momento di aggregazione più totale che mi fosse mai capitato di vivere, e che forse lo è tutt'ora, era cantare tutti insieme l'assolo armonizzato che Kirk Hammett fa nella parte lenta del brano.
Non si poteva non cantare.
E il momento di aggregazione più totale che mi fosse mai capitato di vivere, e che forse lo è tutt'ora, era cantare tutti insieme l'assolo armonizzato che Kirk Hammett fa nella parte lenta del brano.
Non si poteva non cantare.
Noi eravamo noi, e almeno avevamo qualcosa in cui credere.
Una unica "O" che durava una ventina di secondi e si snodava in una melodia barocca quanto energica, poi l'assolo continuava e ci si perdeva, ma non era importante. Avevamo già vinto, prima ancora che cominciasse il concerto.
Altro che "Pooo-Po-Po-Po-Po-Poooo-Pooo".
Dietro c'era tutta un'altra fede.
Altro che "Pooo-Po-Po-Po-Po-Poooo-Pooo".
Dietro c'era tutta un'altra fede.
E noi dopo avere cantato in seimila l'assolo lento di Master Of Puppets, si poteva anche andare a casa.
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